Himalaya - Diario del 5 settembre - Mattino
“Il ciclo eterno della vita”
Mattino
La mattina andiamo nella spiaggia che è proprio davanti al nostro albergo e qui Matsyavatar Prabhu ci offre alcune riflessioni sul senso del nostro viaggiare.
“Sono felice di essere in questo luogo di grande sacralità e di essere qui con voi, cari compagni di viaggio che avete affrontato con spirito costruttivo disagi, scomodità e piccole rinunce per avvicinarvi alla comprensione profonda di voi stessi e del senso del nostro andare nel mondo”.
Ormai ciascuno di noi comincia a fare un primo bilancio di questo viaggio. In questi giorni abbiamo visitato luoghi sacri e ascoltato narrazioni spirituali, abbiamo posto domande su temi importanti di carattere esistenziale, sociale, psicologico, ecc. Abbiamo fatto esperienza di meditazione e imparato nuovi modi con cui guardare agli eventi; abbiamo costruito e arricchito la nostra coscienza e le nostre relazioni, non solo con le persone ma anche con il cielo, le stelle, i fiumi e tutte le creature.
“Anche una piccola realizzazione della nostra immortalità, anche una sola goccia di quell'oceano, produce una dolcezza tale che non si dimentica più per il resto della vita. Oggi abbiamo la fortuna di trovarci alla sacra confluenza dei fiumi Alakananda e Bhagirati. Quest'ultimo proviene da un luogo vicinissimo a Bhadrinath, a circa 3200 metri di altezza, uno dei quattro principali luoghi di pellegrinaggio dell'Himalaya assieme a Kedarnath, Gangotri e Yamunotri.
Pensate che il Bhagirati alla sua sorgente è bollente, tanto che vi si può cuocere il riso! Poi lungo il suo corso, incontrando centinaia di torrenti impetuosi ed infine unendosi all'Alakananda, diventa della temperatura che potete sperimentare voi stessi toccando queste acque che proprio in questo punto danno origine alla Ganga.
I colori dei due fiumi, blu e verde, confluiscono in una nuova tonalità che esalta la bellezza di entrambi e che specialmente in primavera è ben visibile.
Anticamente questa terra era abitata da grandi saggi, eremiti, asceti, da yogi e innamorati di Dio, devoti puri di cuore che avevano dedicato la loro vita alla realizzazione spirituale e che vivendo in questo luogo avevano infuso in esso quella sacralità che ognuno di noi può ancora oggi sentire se riesce a raccogliersi.
Storie puraniche descrivono le avventure di questi devoti, che avevano abbandonato agi materiali, ricchezze, fama, potere per servire Dio e le Sue creature. Anche Vidura aveva lasciato il palazzo imperiale di Hastinapura per venire sulle rive della Ganga ad incontrare il saggio vedico Maitreya, e scelte simili erano state fatte da Agastya, Vishvamitra, Kashyapa e da tante altre grandi personalità.
Ma cosa li aveva portati a tali scelte? Essi avevano sentito un forte richiamo, una vocazione, una voce dal cuore che li risvegliava alla loro natura, come se li risvegliasse da un lungo sonno in cui avevano creduto di essere ministri, re, capifamiglia, donne o uomini. Una volta risvegliati essi si resero conto di essere das dasa anudas, ovvero servitori dei servitori dei servitori del Signore. Realizzarono così che quel mondo di sogni che avevano creduto fosse l'unica realtà aveva un inizio e una fine e che di per sé non esercitava più nessuna attrazione su di loro. Una volta sperimentato il gusto e il piacere della dimensione spirituale, dell'immortalità e della sapienza, sentirono la necessità di seguire quel richiamo fino al ritorno a casa.
A questo punto qualcuno potrebbe forse chiedersi: perché allora Shri Krishna nella Bhagavad-gita non dice ad Arjuna di ritirarsi in un luogo sacro e di rimanervi in stato di contemplazione e rinuncia?
Perché la coscienza spirituale, una volta risvegliata, la si può vivere ovunque, continuando a fare le stesse cose che si facevano prima ma con un'attitudine diversa: con lo spirito di offerta a Dio.
Questa attitudine è superiore come importanza a qualsiasi luogo fisico di pellegrinaggio, anzi è proprio questa predisposizione interiore che conferisce autentica sacralità.Che questo luogo benedetto ci illumini e ci consenta di risvegliarci alla nostra natura spirituale, che ci dia la forza per affrontare le difficoltà che la vita a tutti riserva e che ciascuno di noi sia in grado di comprendere che ogni crisi, sofferenza o perdita di persona cara, se la sappiamo vivere con la giusta attitudine, può aiutarci ad attualizzare il nostro potenziale spirituale”.
Mentre Matsyavatar Prabhu parla, alcuni indiani hanno portato sulla spiaggia il corpo di un uomo di cinquant'anni morto il giorno prima a causa di un infarto. Comincia la cerimonia funebre che lo consacra all'ultimo dei sacerdoti, Agni, il deva del Fuoco, e che lo restituisce infine alle acque universali di madre Ganga.Che ogni esperienza che viviamo nel mondo ci stimoli ad entrare nella realtà, nell'essenza del nostro essere.
“La nostra possibilità di salvezza è proporzionale al distacco che sviluppiamo dalle cose mondane. Non vi fate abbacinare dalle apparenze. Cercate di cogliere l'aspetto più profondo e sacro di ciò che vedete. Provate ad invocare il nome di Dio con fede, con il desiderio di entrare in contatto con l'immortalità che ci appartiene e di cui purtroppo solo raramente siamo consapevoli. Siamo energia di Amore e dentro di noi abbiamo tutta la sapienza che ci serve per realizzarci. Signore, concedici anche solo un attimo di quella felicità essenziale che non ha cause esteriori e che permane una volta che abbiamo imparato a ricollegarci ad essa.
Se si riacquista questa coscienza, qualsiasi cosa si faccia nella vita, in qualsiasi luogo ci si rechi, siamo sempre sostenuti e inondati da questo stato beatifico continuo, ininterrotto, non più alterabile da fattori esterni. Che i saggi, i rishi, gli yogi, i grandi devoti dal cuore innamorato e Dio stesso che si è manifestato molte volte in questi luoghi, possa benedire ciascuno di noi e realizzare i nostri intimi desideri spirituali”.
In silenzio facciamo una visualizzazione meditativa. Chiudiamo gli occhi e pensiamo al desiderio che più di altri vogliamo realizzare. Respirando profondamente, ascoltiamo lo scorrere di Ganga mayi e ci visualizziamo nella realtà che desideriamo si concretizzi. In questo modo stiamo costruendo il nostro futuro. Rimaniamo in silenzio a meditare. Dopo questa visualizzazione, il nostro Maestro riprende a parlare rispondendo alle nostre domande.
La prima di esse: come possiamo affrontare le gravi malattie? Nel frattempo dietro di noi si alzano le fiamme della pira funebre. La morte incontra la vita, la vita incontra la morte in un ciclo senza fine.
“Lo scopo della vita non è diventare immortali nel corpo, ma realizzare il nostro potenziale divino. La morte è semplicemente il passaggio da una dimensione di esistenza ad un'altra. Chi ha realizzato ciò, guarda con distacco al morire e al rinascere perché è consapevole del ciclo eterno della vita”. A questo proposito il Maestro recita uno shloka della Bhagavad-gita (II. 13), che spiega come il saggio cosciente del sé eterno spirituale non si addolora per la morte del corpo. Qui, seduti di fronte a Ganga Mayi, la verità della Bhagavad-gita risuona in noi ancora più forte.
Continuano le nostre domande.
Che cosa accade alla coscienza al momento della morte?
Matsyavatar Prabhu ci spiega che cosa avviene durante il post-mortem, narrandoci affascinanti racconti che ci parlano del viaggio dell'anima nelle varie dimensioni di esistenza.
Nel frattempo il rito funebre che era in corso poco distante da noi è terminato e gli officianti si stanno ora bagnando nelle acque di Madre Ganga. Qui, sulle rive di questo fiume sacro, si realizza quanto è reale il ciclo della vita tra nascita e morte. Qui si guarda alla morte come si guarda alla nascita, come passaggi nel ciclo eterno dell'esistenza.